mercoledì 26 dicembre 2012

Il Circo di Fellini rivive nello spettacolo "Cirque Carillon" ideato da Paolo Stratta con la Compagnia del Cirko Vertigo

Paolo Stratta ph. Cirko Vertigo

 Questa sera a Torino ancora una volta avremo l'emozione, in questa 
festosa giornata di Santo Stefano, di poter guardare con il naso all'insù, stagliarsi contro il cielo all'imbrunire sullo sfondo barocco 
delle facciate dei grandi palazzi di piazza Castello, 
gli artisti acrobati del Cirko Vertigo impegnati in 

questa sera alle ore 17:45 in piazza Castello

uno degli spettacoli del Cirque Carillon nell'ambito del programma 
Torino Natale coi Fiocchi 2012.


Paolo Stratta, ideatore e anima del Cirko Vertigo e 
dello spettacolo Cirque Carillon in scena in piazza a Torino sotto le stelle,
arriva dal Teatro popolare e dal Teatro di Strada, è lui stesso 
un ex artista di strada laureato al Dams di Bologna.
Porta in scena uno spettacolo, Cirque Carillon che va ben oltre la ricerca spasmodica ed estrema del Circo attuale (per non chiamarlo circo contemporaneo) di innovazioni tecniche e di effetti scenotecnici "ad effetto" che cercano di generare nel pubblico stupore attraverso "cose strane", ricreando atmosfere felliniane che pescano nella valigia dei ricordi di ognuno di noi, con grande rispetto della tradizione, una profonda e sottile ricerca musicale ad hoc, grande capacità di equilibrio tra i costumi, le tecniche, i movimenti in aria sobrietà e tradizione.

Saper onorare il passato, forti le ispirazioni a Fellini e alle musiche 
di Nino Rota, è più complesso ma più importante che non solo saper cavalcare un'innovazione fine a se stessa che rompe solamente i clichet del passato
ma non arriva con la stessa forza al cuore e all'anima del pubblico.

Grazie a Paolo Stratta e agli artisti del Cirko Vertigo di questo spettacolo Cirque Carillon in scena a Torino, sette gli artisti in aria non solo italiani ma che arrivano da tutto il mondo, decine gli artisti acrobati a terra accompagnati da una band di cinque musicisti.

E grazie per aver saputo regalare a Torino in queste serate dell'Avvento prima e delle feste poi, una magica atmosfera onirica che ha contribuito a rendere Torino Città del Natale unica e speciale.

***

FELLINI ISPIRAZIONE PER IL CIRQUE CARILLON DI TORINO

Il prossimo 20 gennaio 2013 saranno trascorsi 93 anni dalla nascita di Federico Fellini, genio visionario, per cui il Circo è stato elemento chiave, centrale e portante, "la" sua vera e grande fonte di ispirazione.

Riportiamo su Federico Fellini e sulla sua visione del Circo il post di 
Claudio Monti pubblicato su www.ilcirco.it  il 1 giugno dello scorso 2011,
 che apprezzammo allora e che rileggendo vogliamo condividere con voi perché il Cirque Carillon torinese - ideato per Natale a Torino coi Fiocchi da Paolo Stratta con il magistrale Cirko Vertigo - che va in scena in queste feste 
in Piazza Castello a Torino, onora la figura di Fellini ed è un 
profondo omaggio al "suo" Circo.

Tratto da www.ilcirco.it (dove potete trovare molto altri affascinanti articoli) segue l'articolo di Claudio Monti 



Fellini: il mondo visto con gli occhi del clown

Non si sa con certezza se Federico Fellini si allontanò davvero con un circo. Lui lo raccontò ma la madre lo smentì. Di certo per il regista riminese il circo fu tutto. Una passione radicale, quasi una ossessione, una lente con la quale guardare il mondo, non solo il cinema. La sua visione della vita era talmente intrisa di amore per il circo e per i clown in particolare, che gli venne naturale suddividere e rappresentare tutte le persone che lo circondavano, comprese le maggiori personalità della vita pubblica, in base alla dialettica tra clown bianco e augusto. Le due maschere immortali del clown: il bianco, il cui trucco ricorda Pierrot, che rappresenta la lucidità, l’eleganza, l’armonia. E l’augusto che incarna la comicità, la follia, la goffaggine. Per dirla con Fellini, il bianco costituisce la figura dominante, che ordina e vuole imporre le sue regole, rappresenta l’uomo borghese per la sua volontà di apparire meraviglioso, ricco e potente. L’augusto è colui che si ribella e diventa tutto il contrario rispetto alle regole e allo stile del clown bianco, presenta un po’ i caratteri del ʻclochardʼ, ha un’immagine sottoproletaria, da corte dei miracoli, è il più amato dal pubblico, soprattutto dai bambini, perché è più simile a loro.Definite le categorie, ecco le conseguenze. Per Fellini Pier Paolo Pasolini è un bianco, del tipo aggraziato e saccente, Michelangelo Antonioni è invece l’augusto, però di quelli silenziosi, muti e tristi. Nell’ultimo film che regala al pubblico, La voce della luna, Roberto Benigni e Paolo Villaggio non sono altro che l’ennesima reincarnazione del bianco e dell’augusto. Uno buffone, l’atro presuntuoso e saccente, severo fino ad essere ridicolo. Ma insieme assicurano un quadretto perfetto.
Fellini si sbizzarrisce ad applicare la sua filosofia, a sezionare bianco e augusto ovunque si materializzi un uomo, meglio se famoso: “Gadda è un augusto inesauribile, un gigante entusiasmante, un pazzo favoloso, un grande acrobata che ti cucina a dovere con le sue pagine da applauso”. Splendido ritratto. E poi Moravia: “E’ un augusto che voleva essere un clown bianco. Meglio: è un Monsieur Loyal, il direttore del circo, che cerca di conciliare le due tendenze sopra un terreno obiettivo, imparziale. Picasso? Un trionfale augusto, spavaldo, senza complessi, sa fare tutto: alla fine è lui che la vince col clown bianco. Einstein: un augusto sognante, incantato, non parla mai, ma all’ultimo momento candidamente tira fuori dalla saccoccia la risoluzione dell’inghippo proposto dal furbo clown bianco. Visconti un clown bianco di grande autorità. Hitler: un clown bianco. Mussolini: un augusto”. Chiama in causa anche due papi: Pacelli per Fellini è un clown bianco, mentre Roncalli lo si può “intus legere” solo considerandolo un augusto. Freud è un bianco, Jung un augusto.
Fellini e il circo. E’ nota l’attrazione del Maestro per la pista di segatura, ma fino ad oggi l’argomento non era stato scandagliato a fondo. Ci ha pensato una tesi di laurea (“Fellini e il circo. Analisi di una passione”) ad approfondire l’argomento, discussa qualche giorno fa alla Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Milano, corso di laurea magistrale in Scienze dello spettacolo. L’autore è Roberto Barbieri, relatore il prof. Alessandro Serena e correlatrice Camilla Guaita.
“Fin da piccolo, il giovane Federico ama tutto quello che può portarlo lontano dalla realtà, in mondi fantastici, dove personaggi ed eventi straordinari sono prevalenti rispetto alla normalità della vita quotidiana. Per questo legge e riproduce avidamente numerosi fumetti, come 
Little Nemo e Happy Hooligan, per citarne solo un paio, da cui apprende anche l’arte della caricatura, che utilizzerà come strumento per la costruzione di molti personaggi grotteschi dei suoi film.Così, quando all’età di circa sette anni, nella sua città natale, Rimini, arriva un piccolo circo ambulante, l’interesse e l’amore per questo ambiente dove tutto può accadere, assolutamente tangenziale rispetto alla realtà quotidiana, sono immediati; in particolar modo, è colpito dai clown, parodie e caricature dell’umanità, che gli ricordano alcuni personaggi grotteschi della sua città (raccontati nel film Amarcord), nonché gli stessi fumetti che legge da bambino. Fellini è affascinato, soprattutto, dal clown Pierino, che incontra per caso fuori dal tendone, vestito alla maniera di un semplice augusto: ne rimane estasiato. Resta talmente colpito dal mondo circense da tentare una fuga con questo piccolo circo ambulante, salvo, poi, essere scoperto e riportato a casa qualche ora dopo da un amico di famiglia”, scrive Roberto Barbieri. Più che altro Fellini favoleggia di un’avventura che non ci fu. Racconterà di essere stato riportato a casa dai carabinieri, ma la realtà è ben diversa. Quando ha solo sette anni, in un pomeriggio d’estate Federico va al matinée del circo che sosta a Rimini. Rimane strabiliato dallo spettacolo. Il mattino dopo, uscito da scuola con un pretesto, il bambino corre di nuovo al circo, dove gli trovano subito un lavoretto: quello di andare a prendere l’acqua, “per fare le spugnature alla zebra febbricitante”. Potesse rimanerci per tutta la vita in quell’ambiente, lo farebbe senza pensarci due volte.Ma nel pomeriggio un conoscente passa di lì, riconosce Fellini e, sulla canna della bicicletta, lo riporta a casa. C’è anche la testimonianza della madre a smorzare la storia un po’ romanzata che Fellini mette in giro, anche per il gusto di spararle grosse, da bravo “pataca” romagnolo: “Vi pare che il mio ragazzo possa essersi comportato in questo modo? A sette anni, poi, e con degli zingari? No, no, non può essere stato fuori di casa neppure una mezza giornata senza che noi ce ne accorgessimo”. Scoperta la bugia, Fellini non ci resta bene e abbozza: “… ammesso che io sia un bugiardo, sono un bugiardo onesto”.
Fellini non si limita a tratteggiare bianco e augusto nei personaggi che contano. “Tende anche a circondarsi di persone dalle chiare caratteristiche clownesche, anche se, delle volte, queste sono del tutto involontarie”. Due su tutti: “Il compositore della maggior parte delle colonne sonore dei film di Fellini, Nino Rota, che possiede un modo di fare innocente, aggraziato, lieto, salvo poi sorprendere il regista con improvvise battute da clown inconsapevole, ignaro del mondo che lo circonda.
L’altra è la moglie di Fellini, Giulietta Masina, perfetta per interpretare due dei personaggi dalle maggiori caratteristiche clownesche dell’intera filmografia felliniana: Gelsomina in La strada e Cabiria de Le notti di Cabiria. Sia con l’amico che con la moglie, entrambi incarnazioni del clown augusto, il Maestro è obbligato a fare la parte del bianco, poiché un augusto deve sempre confrontarsi con un bianco e viceversa, anche se la sua indole profonda anche per lui è quella dell’augusto, ruolo preferito dallo stesso Fellini all’interno della coppia”. Per lui Giulietta Masina “ha gli stupori, gli sgomenti, le improvvise esplosioni di allegria ma anche gli altrettanto improvvisi rattristamenti di un clown”.
In ogni suo film, sin dal primo realizzato a quattro mani con Alberto Lattuada nel 1950, 
Luci del varietà, fino all’ultimo del 1990 La voce della luna, si possono riscontrare una o più citazioni sul circo o sullo spettacolo di varietà. “Le atmosfere del circo influenzano, quindi, l’intera opera cinematografica felliniana”. E non potrebbe che essere così perché il cinema, dirà, è “un trabiccolo con qualcuno dietro che riprende un clown che gli si muove davanti!”. Quando traccia un bilancio della sua carriera, in una delle tante interviste, dice di non avere molti rimpianti, ma uno sì: avrebbe voluto nascere vent’anni prima ed essere stato uno dei pionieri del cinema, il quale s’ispira molto allo spettacolo circense. Il suo idolo, infatti, è Charlie Chaplin.
“Debbo fare una confessione imbarazzante”, amava dire Fellini: “Io sul circo non so niente; mi sento l’ultimo al mondo a poterne parlare con conoscenza di storia, di fatti, di notizie. E, d’altra parte, perché no? Anche se non so niente, io so tutto del circo, dei suoi ripostigli, delle luci, degli odori e anche degli aspetti della sua vita più segreta. Lo so, l’ho sempre saputo. Fin dalla prima volta si è manifestata subito una totale adesione a quel frastuono, a quelle musiche assordanti, a quelle apparizioni inquietanti, a quelle minacce di morte”.
Bianco e augusto fino alla fine.
“Durante il periodo di degenza, a seguito di un aneurisma all’aorta che lo colpisce gravemente, privandolo della mobilità di tutto il lato sinistro del corpo, nell’ultimo anno della sua vita, alcuni momenti di conforto e spensieratezza glieli fornisce il suo amico d’infanzia Titta Benzi che spesso lo va a trovare ricomponendo la coppia di clown bianco e di augusto con la quale Fellini ha diviso e raccontato il mondo. Se di alcune infermiere non sopporta la rigidità con la quale si pongono nei suoi confronti, con altre raggiunge una certa complicità tanto che divengono una sorta di spalla alle sue trovate, ricostituendo, così, come con l’amico Titta, la coppia clown bianco e augusto; in questi casi, è sempre lui il clown bianco che detta le regole, anche se si è sempre identificato con l’augusto per tutta la vita, consistita nel ribellarsi a qualcuno che rappresenta l’autorità, rivolgendogli sberleffi e pernacchie”, sostiene Gianfranco Angelucci nel suo Federico Fellini.

Il clown Polidor sul set con Fellini 
PH. CIRCO.IT
Come al Lido di Venezia, quando Fellini va a presentare Satyricon. Sono gli anni della contestazione, e un giovane non guarda in faccia nemmeno al Maestro: lo chiama “Barnum”. Intendendo così sparare un colpo mortale su un tipo di cinema costoso, borghese, corrotto, non allineato con l’impegno politico. Ma Fellini non ci riflette troppo e da vero clown risponde: “Stronzum”.

1 giugno 2011


FOTO DELL'ARTICOLO DE ILCIRCO.IT

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