Gli 80 capolavori di Edgar Degas, in prestito dal Musée d'Orsay di Parigi, raramente esposti al grande pubblico per motivi di conservazione e
riuniti nella Mostra Antologica più importante degli ultimi dieci anni in Italia, sono ai loro ultimi giorni di permanenza a Torino alla Palazzina
Promotrice delle Belle Arti, nel suggestivo parco del Valentino.
Il 27 gennaio prossimo chiuderà infatti i battenti la meravigliosa
mostra di Degas che ha inaugurato a Torino le iniziative dell'anno
in cui "Torino incontra la Francia".
Guy Cogeval Direttore del Musée d'Orsay presenta con Xavier Ray che ne è il Curatore, la Mostra di Degas a Torino.
Nello spazio espositivo del Parco del Valentino sono visibili tutti i temi della produzione di Degas: dall'ambiente familiare all'esperienza italiana, dal mondo parigino degli artisti a quelli della musica e dei caffè, al paesaggio, i cavalli e le corse, alle celeberrime ballerine e al nudo.
Due straordinari ritratti aprono il percorso: l'Autoritratto del giovane artista (1855) e quello del nonno Hilaire de Gas (1857), il Ritratto di famiglia (La Famiglia Bellelli, 1858-1869), opera che per le sue considerevoli dimensioni (2 x 2,5 metri) raramente ha lasciato il museo parigino.
Ritratto del Nonno Hlaire de Gas - ph Wikipedia
Seguono i ritratti di familiari, uno
spettacolare Studio di mani del
1859-1860 e alcuni Studi di teste,
olii o pastelli, copiati da grandi artisti del passato come Della Robbia e
Mantegna.
Edgar Degas (fonte wikipedia) si chiamava in realtà Edgar de Gas ed era figlio del ricco banchiere di nobile famiglia Auguste de Gas e di Célestine Musson, imparentato coi baroni Bellelli di Napoli, Edgar Degas cresce in ambiente assai raffinato. Ha quattro fratelli e gode di un'infanzia dorata.
Grazie alla posizione agiata della sua famiglia, trascorre gran parte della giovinezza viaggiando, soprattutto in Italia, ma anche a New Orleans, dove ha dei parenti cotonieri, e può scegliere per sé i maestri che preferisce. Per amalgamarsi meglio ai suoi colleghi ed amici impressionisti, unirà il cognome in Degas, di aspetto meno aristocratico e più borghese. Dopo la laurea, inizia a frequentare il Cabinet des Estampes della Biblioteca Nazionale. Disegnatore instancabile, qui copia le opere di Albrecht Dürer, Andrea Mantegna, Paolo Veronese, Francisco Goya, Rembrandt.
Trascorre le giornate al Louvre, affascinato dai pittori italiani, olandesi e francesi. Nel 1854, frequenta lo studio di pittura di Louis Lamothe, allievo assai mediocre di Dominique Ingres e fratello di Flandrin. Da parte sua, suo padre, raffinato estimatore d'arte e di musica, gli presenta, qualche anno più tardi, alcuni dei più grandi collezionisti di Parigi, come Lacaze, Marcille, e Valpinçon.
Nel 1855, inizia a seguire dei corsi alla Scuola delle Belle Arti di Parigi; nel frattempo, preferendo avvicinarsi direttamente all'arte dei grandi maestri classici quali Luca Signorelli, Sandro Botticellie Raffaello, viaggia spesso tra il 1856 e il 1860 in Italia, dapprima a Napoli, ove risiedeva la sua famiglia, e poi a Roma e Firenze (ospite della zia Laura De Gas e di suo marito Gennaro Bellelliesuli dal Regno delle Due Sicilie in quella città per motivi politici), dove diventa amico del pittore Gustave Moreau. Tra le opere giovanili troviamo alcuni dipinti d'ispirazione neoclassica ma soprattutto numerosi ritratti di membri della sua famiglia. Dal 1865 al 1870, Degas propone le sue opere al Salon.
Dal 1874 al 1876, Degas, invece le invia alle mostre impressioniste partecipando attivamente all'organizzazione delle stesse. In questo modo stabilisce molti contatti con pittori della sua generazione, in particolar modo con Pissarro ma anche con i giovani artisti dell'avanguardia.
Malgrado i viaggi in provincia e all'estero, è soprattutto Parigi che conta per Degas - e in particolare Montmartre. Frequenta cenacoli, studi di pittura, caffè letterari e conduce, con pochi intimi amici borghesi, una vita da celibe "arrogante". Delle sue origini affinate, conserva la riservatezza
e il rispetto dei principi.
La delicatezza del cuore e l'intransigenza morale gli valgono la stima di chi ha intorno. Partecipa attivamente alle discussioni nelle riunioni dei giovani artisti dell'avanguardia e del suo amico Édouard Manet al café Guerbois.
A partire dal 1875, a seguito di numerose difficoltà materiali, la pittura diventa il suo mezzo di sostentamento. Negli anni intorno al 1880, quando inizia a perdere la vista, Degas privilegia la tecnica del pastello, alla quale a volte mescola la matita e la tecnica a guazzo (gouache). I quadri di questo periodo testimoniano un lavoro molto moderno sull'espressività del colore e della linea. Alla fine del 1890, quasi cieco, si consacra esclusivamente alla scultura che già praticava da una dozzina d'anni, trasferendo i suoi soggetti preferiti in cera. La mostra di ventisei paesaggi, che presenta nell'ottobre 1892 alla galleria Durand-Ruel, è la sua prima ed ultima mostra personale.
L'Assessore alla Cultura Maurizio Braccialarghe presenta
la Mostra di Degas a Torino
A partire dal 1905, il pittore si ritira sempre più nel suo studio, lottando contro la cecità che avanza. Quasi completamente cieco, Degas muore di una congestione cerebrale a Parigi 27 settembre 1917, all'età di 83 anni. Viene seppellito al cimitero di Montmartre. L'anno successivo, le opere accumulate nel suo studio e la sua importante collezione sono vendute all'asta.
Il fallimento della famiglia (la morte del padre, i problemi finanziari di suo fratello Achille), il suo carattere difficile, lo spirito mordace, le battute feroci, le sue posizioni spesso intransigenti, la progressione inesorabile dei problemi agli occhi, hanno contribuito ad accentuare la misantropia così spesso denunciata di questo vecchio scapolo. Nonostante questo, la sua reputazione è stata spesso esagerata. Molti indizi provano che, anche vecchio, continuava ad interessarsi alla creazione, ricevendo gli artisti nel suo studio fino al trasloco avvenuto nel 1912. Nelle sue opere raffigurava spesso ballerine, che erano protagoniste anche nelle sue sculture o miniature.
Video di Xavier Ray dell'allestimento della Mostra.
La curatela della più grande antologica dedicata a Edgar Degas
Gli organizzatori e i promotori della Mostra, da sinistra Xavier Rey Conservatore del Musée d'Orsay, Guy Cogeval Direttore del Musée d'Orsay, Piero Fassino Sindaco della Città di Torino, Massimo Vitta Zelman Presidente di Skira, Maurizio Braccialarghe Assessore alla Cultura e al Turismo della Città di Torino.
PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI
Viale Balsamo Crivelli, 11, 10126 - Torino
Telefono: +39 0115790095
di Xavier Rey
Riportiamo qui di seguito integralmente un testo molto interessante
del Curatore della mostra
Xavier Ray sulla figura di Edgar Degas e sulle sue opere.
"Degas, un impressionista della figurazione umana"
Benché Degas figuri tra i
partecipanti più fedeli alle otto mostre, organizzate tra il 1874 e il 1886,
che oggi vengono comunemente definite “impressioniste”, è probabilmente l’esponente più originale di
quel gruppo di artisti d’avanguardia
attivi nell’ultimo
quarto dell’Ottocento.
Lui che negli ultimi anni di vita si compiaceva di affermare, con un umorismo
caustico rimasto negli annali, che gli impressionisti avrebbero dovuto essere “fucilati”[1], realizza in effetti, a
differenza dei colleghi, assai pochi paesaggi. Preferisce concentrarsi sulle
scene di vita moderna e si specializza in particolare sugli effetti della luce
artificiale negli interni. Mentre nel 1877 Renoir espone Il ballo del Moulin de
la Galette
e Monet La stazione Saint-Lazare (entrambi
a Parigi nel Musée d’Orsay),
Degas presenta la Lezione di danza (XX) e provoca inoltre un piccolo
scandalo con alcune scene raffiguranti donne intente alla toilette: Donna
che esce dal bagno (cat. n. 70) e soprattutto Nudo accovacciato visto di
spalle (cat. n. 68)[2]. Come indicano tali scelte,
la rappresentazione della figura umana, in particolare quella dei volti e corpi
anonimi che Degas prende a modello, occupa un posto del tutto particolare nella
sua opera. Questo predominio della figura nell’ambito di una carriera
estremamente lunga e prolifica consente di analizzare, in prospettiva
cronologica, le successive posizioni assunte dall’artista nei confronti della
corrente naturalista che domina in Francia dalla fine dell’Ottocento fino alla Prima
guerra mondiale. L’altra
grande peculiarità della sua ricerca artistica è la molteplicità delle tecniche
utilizzate nel corso della carriera. La riflessione sulla rappresentazione del
corpo da parte di Degas costituisce dunque l’occasione per esplorarne la pittura e la
scultura, ma anche le incisioni e soprattutto i pastelli che lo hanno reso
celebre.
Lo studio della figura umana
è alla base della formazione accademica che Degas intraprende all’inizio della carriera, negli
anni cinquanta dell’Ottocento. Le numerose copie di originali antichi da lui
eseguite – soprattutto al Louvre e nel Gabinetto delle stampe della Biblioteca
nazionale, o durante il suo primo viaggio in Italia, tra il 1856 e il 1859 –
testimoniano di un incessante lavoro sull’esercizio classico del nudo. Da Firenze riporta
un commovente disegno tratto da La nascita di Venere
di Botticelli e, in precedenza, copia i tratti dello Schiavo morente di
Michelangelo ammirato a Parigi[3]. Come confessa a Vollard
negli ultimi anni di vita: “Bisogna
copiare e ricopiare i maestri, solo dopo aver dato prova di essere un buon copista
ci si [può] permettere di ritrarre un ravanello dal vero”[4]. Questa fedeltà alla
tradizione dell’anziano artista, divenuto l’araldo universalmente celebrato della modernità e
della rottura con le formule del passato, dimostra che i nudi giovanili – gli
studi di figure dal vero – hanno avuto un’influenza determinante su quelli realizzati in
seguito e fino alla fine della sua attività. Gli esercizi di rappresentazione
del corpo nudo sono in effetti estremamente utili per imparare la volumetria,
la proporzione, l’articolazione
e l’equilibrio tra le figure. Il
nudo classico, idealizzazione delle forme secondo i canoni antichi, è dunque
naturalmente al centro di due dipinti di genere storico che Degas realizza per
farsi conoscere agli inizi della carriera. Ma l’autore dà già prova in queste
opere di una visione assai personale del corpo, come dimostra la prepotente
modernità di Esercizi di giovani spartani (XX) – rimaneggiato probabilmente intorno al 1880
quando il pittore aveva ormai definitivamente preso a modello il mondo
contemporaneo[5] – e soprattutto delle donne
seviziate di Scene di guerra nel Medioevo (cat. n. 21). Le convulsioni
di queste ultime sono in realtà il frutto di una rivisitazione assai personale
dell’arte di numerosi autori,
Botticelli e Michelangelo tra gli antichi, da Delacroix a Puvis
de Chavannes tra i riferimenti contemporanei, senza dimenticare Ingres, il
suo maestro assoluto.
Dall’idealizzazione delle forme al tipo ideale
Scene di guerra nel Medioevo attesta già l’originalità di Degas in
rapporto ai suoi contemporanei. Ma è in seguito che il pittore abbandona
completamente i canoni classici e risponde all’appello del naturalismo
teorizzato dal critico Duranty, che esorta alla rappresentazione del mondo
contemporaneo: “forse un
giorno la donna francese reale, con il suo naso all’insù, sfratterà la donna
greca in marmo dal naso dritto”[6]. Il dipinto Interno (noto
anche come Lo strupro, XX) è il primo capolavoro – rappresentativo della
“cifra speciale dell’individuo moderno” e concentrato su “uno stato sociale”[7] ben definito – di un
artista che abbandona da allora qualsiasi eleganza pittorica. Questo “quadro di genere”, come lo definiva lo stesso
Degas, che pare riecheggiare i romanzi di Zola[8], non è tanto la narrazione
di una storia particolare – mai svelata dall’autore – quanto un’evocazione più generale della tensione tra i
sessi, trasposta da Sparta nella moderna e sordida Parigi ottocentesca. L’atteggiamento dell’uomo e la prostrazione della
donna, che rivolge al primo la schiena nuda, raccontano, almeno quanto l’atmosfera opprimente della
stanza, cosa passa tra i due personaggi. Nello spogliare le donne Degas non
cerca affatto il dettaglio grottesco, ma il tipo fisico della donna del suo
tempo. “Per meglio
ricapitolare le proprie scelte controcorrente la sceglie, grassa, corpulenta e
tarchiata [...] annegando la grazia dei contorni nei rotoli di adipe”[9], spiega Huysmans a riguardo
del fisico delle bagnanti di Degas. Renoir, da parte sua, conclude a partire
dalle scene di bordello che il collega realizza tra il
1870 e il 1880 che “in Degas
si trova lo spirito della donna di bordello, si trovano tutte le donne di
bordello riunite in una sola”. Nel
lodare La festa della tenutaria (XX) aggiunge che “solo Degas può dare a un
tale soggetto un’aria di festa e al contempo l’eleganza di un bassorilievo
egizio”[10]. Sono certamente questa
morfologia e questo spirito che i commentatori riconoscono, meglio del pubblico
d’oggi, nella Nudo accovacciato visto di spalle (cat. n. 68).
Un destino che accomuna prostitute, cantanti e ballerine
Anche se per ragioni di
decenza espone assai poche delle sue scene di postribolo[11] l’impegno deduttivo di Degas –
sempre teso a individuare negli esempi osservati una regola generale – ne fa
uno dei più degni rappresentanti[12] del naturalismo, corrente
che rifiuta la piatta registrazione della realtà, ma vuole invece rivelare le
norme che disciplinano il funzionamento della società utilizzando come
grimaldello i progressi scientifici. Il tipo della popolana in Degas si distingue
da quel momento per il naso all’insù già riconoscibile sul volto della
protagonista di Interno[13], che viene identificata
così come donna del popolo in opposizione all’uomo in abito borghese. Nel tentativo di
collegare i dati fisici allo stato sociale, Degas si rifà alle teorie razziali che, sulla base delle scienze sociali,
nascono nella sua epoca. Le prostitute nelle case di tolleranza o le Donne
fuori da un caffè la sera (cat. n. 65), dalla condotta necessariamente
immorale, si conformano dunque allo stereotipo caratterizzato da una fronte
sfuggente che ricorda i primati. È proprio il profilo scimmiesco della Piccola
danzatrice di quattordici anni (cat. n. 56) a scandalizzare il pubblico in
occasione della sua esposizione nel 1881, la scultura non può che rammentare a
tutti che le figuranti dei teatri hanno in genere origini popolari e, almeno
nell’immaginario collettivo, sono destinate a prostituirsi con gli abbonati.
Questa caratterizzazione fisica aveva già raggiunto il culmine in Mademoiselle
La La al Circo Fernando (XX) che nel 1879 offre all’artista il tipo di una donna
di colore impegnata in un’attività
acrobatica. Tuttavia lo spirito ribelle di Degas si manifesta nell’ambiguo collegamento che si
compiace di creare tra la borghese e la prostituta. Anche se il bagno è
all’epoca ancora generalmente associato alla prostituzione[14], l’abbondanza di tempo
libero, che le distingue dall’operaia e
dalla contadina, concede alle esponenti di queste due opposte categorie della
società la possibilità di rilassarsi nell’acqua. Questi due tipi di donna condividono di
conseguenza la stessa corpulenza derivante dalla mancanza di attività fisica.
Mentre la donna di Nudo
accovacciato visto di spalle (cat. n. 68) è chiaramente una
prostituta nella sua alcova, la Donna che esce dal bagno (cat. n. 70)
può essere sia una cortigiana in uno stabilimento di lusso dotato di
inservienti sia una rappresentante dell’alta società – all’avanguardia nell’igiene – che dispone del proprio bagno personale[15]. Resta il fatto che
attraverso le sue scelte fisionomiche Degas dà espressione artistica ad alcune
tesi scientifiche di grande risonanza come la teoria dell’evoluzione delle specie di
Charles Darwin. Non analizza forse le origini biologiche e sociali della
degenerazione collegando prostituzione e criminalità? L’artista accresce in
effetti lo scandalo provocato dalla Ballerina accostandola alle sue Fisionomie
di criminali in cui l’associazione tra il carattere angoloso dei volti e il
comportamento criminale è direttamente mutuato da Lavater. Vuole forse
dimostrare che l’adolescente è condizionata alla devianza perché rivela le
stesse stimmate fisiche tipiche dei degenerati?[16] Si è tentati di
intravedervi una tesi premonitrice dell’opera del celebre criminologo Cesare Lombroso, La
donna delinquente, la prostituta e la donna normale, pubblicata nel 1895.
Gli stessi difetti fisici si ritrovano in seguito nei corpi di tutte le
lavoratrici raffigurate da Degas, che si tratti delle Piccole modiste (XX)
o delle Stiratrici (XX). Malgrado il ricorso a modelli minuziosamente
scelti in alcune scene di genere – come l’amico artista Marcellin Desboutin ed
Ellen Andrée in Al caffè – è la fisionomia della gente comune che il
pittore preferisce mettere in mostra. Il pubblico vi scorgerà quindi, per
deduzione, l’evocazione
della piaga dell’alcolismo che avvelena il popolino di Parigi.
Degas e il corpo femminile
Oltre alle considerazioni di
carattere sociale si pone la questione della maniera in cui Degas rende i
corpi, specialmente quelli delle donne nude che costituiscono una parte
considerevole della sua opera. Ancora oggi il modo in cui il pittore
rappresenta le donne può stupire: spesso di spalle, esse sembrano sorprese e
vulnerabili dinanzi all’artista e
allo spettatore. Naturalmente, come quasi sempre in Degas, questa particolare
posa è la reminiscenza di un dipinto assai ammirato – in questo caso la Bagnante
di Valpinçon di Ingres[17] – ma egli accentua al
massimo l’effetto di
realtà che dà alla scena un disturbante risvolto voyeuristico. Nella Donna
alla toilette che si asciuga il piede (cat. n. 72) egli accentua l’effetto di intrusione nell’intimità della bagnante
tracciando una striscia astratta sul lato destro del pastello, come a
raffigurare una porta o un paravento dietro al quale viene a collocarsi il nostro
sguardo indiscreto. “Voglio
guardare attraverso il buco della serratura”[18] confida d’altronde l’artista, come per suggerire
che ambisce a creare nelle sue rappresentazioni, almeno quelle degli anni
1870-1880, l’illusione
di un’estrema immediatezza. La sua presa di distanza è dunque effetto della
misoginia, dell’impotenza
o del disinteresse? Secondo una sua modella, Alice Michel, Degas “non è mai stato
particolarmente disposto a far baldoria”[19]. Ma a quanto pare non ha
neppure cercato di denigrare il gentil sesso come potrebbero lasciar pensare
Gustave Geffroy e Joris-Karl Huysmans con i loro commenti sull’assenza di
compassione nello sguardo del pittore (il secondo evoca addirittura un’“attenta crudeltà” e “un odio paziente”[20] dell’artista nei confronti delle
sue donne al bagno); Degas in effetti rimprovera così Boldini: “Quando lei dipinge una
donna, la disonora [...] ma che strana idea ha lei dell’umanità!”[21]. È inoltre di eccellente
compagnia per le donne della propria cerchia e un collega benevolo per Berthe
Morisot e Mary Cassatt. Forse non è corretto neppure concludere che “nessuno ha amato altrettanto
la donna [e che] è il lato ‘giansenista’ della sua natura a spiegare
questa sorta di crudeltà utilizzata nel rappresentare la donna intenta alla
toilette personale”[22]. Probabilmente Degas
prestava fede al luogo comune dell’effetto devastante dell’amore femminile sull’ispirazione – incarnato in Manette
Salomon dai fratelli Goncourt – e non rinunciava mai a porre una distanza
clinica tra se stesso in quanto artista e il corpo delle sue modelle ridotte
allo stato di bagnanti anonime. La celebre confessione “forse ho ecceduto nel
considerare la donna come un animale”[23] può dunque indicare sia una
repulsione per il sesso opposto sia una certa indifferenza nei confronti dei
suoi soggetti, umani o animali, in un esercizio di sublimazione artistica.
La donna senza pubblico “è la bestia umana che si
prende cura di se stessa”[24], diceva il pittore con
crudezza. In definitiva Degas è stato probabilmente tanto misogino quanto la
sua epoca; Maupassant non ha forse scritto “l’amore,
questa funzione bestiale, è divenuto [nelle mani della donna] una terribile
arma di dominio”[25]?
Il corpo umano alla ricerca del movimento
L’interesse di Degas per il
movimento è percepibile fin dalle sue prime tele come dimostra il gruppo di
quattro ragazzi a destra di L’educazione degli spartiati intorno al 1860
(XX); la loro danza rituale sembra addirittura anticipare i celebri balletti a
venire. Il confronto tra la versione oggi all’Art Institute di Chicago – considerata anteriore
– e quella conservata alla National Gallery di Londra mostra già in effetti la
libertà dell’artista rispetto alle fonti classiche nella spontaneità dei gesti.
Il movimento appare uno degli assi principali delle ricerche artistiche di
Degas che si interessa alle innovazioni tecnologiche del suo tempo – la
fotografia e il cinema di cui segue i progressi nella scomposizione del
movimento indagata da Marey e Muybridge[26] –, ma cerca di ricrearne
l’effetto restando fedele allo studio anatomico dei personaggi vestiti (come le
ballerine), unica garanzia della massima precisione del risultato finale. I
vari movimenti delle ballerine – quelli delle figure principali quanto i gesti
insignificanti dietro le quinte – sono resi con grande eleganza in Prove di
balletto in scena (cat. n. 46). Il desiderio di evocare insieme l’equilibrio e il movimento
spinge fin dagli inizi l’artista verso la scultura, il mezzo più adatto per
riprodurre con rigore i muscoli e il loro guizzare, che siano quelli dei
cavalli (come Cavallo al galoppo sulla zampa destra (XX), ripreso quasi
alla lettera sullo sfondo della Sfilata, XX) o quelli delle ballerine
(come nella serie dei Grandi arabeschi, XX-XX). “Più invecchio più mi rendo
conto che per giungere, nell’interpretazione
dell’animale, a un’esattezza così perfetta che
doni la sensazione della vita, bisogna far ricorso alle tre dimensioni [...]
Accade lo stesso nell’interpretare
la figura umana, soprattutto quella in azione [...] La verità non si può
ottenere che con l’aiuto della scultura [perché] modellare una forma costringe
a non trascurare nulla”[27], assicurava il pittore alla
fine dei suoi giorni. La costante evoluzione stilistica di Degas si traduce in
un disegno sempre più ampio e libero che coglie il movimento attraverso la
giustapposizione dei tratti di carboncino, come altrettanti fugaci istanti in
successione: gli stiramenti delle Due ballerine in riposo (cat. n. 52)
sembrano così ricomporsi sullo sfondo giallo. In altre composizioni sono varie
figure raggruppate a incarnare ciascuna la tappa di un gesto o lo stesso gesto
osservato da un angolo diverso; il movimento di Ballerine in blu (XX)
nasce per esempio dal trattamento sfumato, flou, dello sfondo e della
prospettiva[28]. Tramite tali artifici
Degas riesce, negli ultimi anni di attività, a suggerire il ritmo in maniera
assai più evidente che nelle composizioni precedenti come La lezione di
danza (XX). Accade lo stesso con i movimenti sincronizzati della serie
delle Ballerine russe la cui tecnica pare averlo particolarmente
impressionato nel 1899. La dissezione del gesto, sempre più approfondita, e le
libertà nell’interpretare l’anatomia conducono tuttavia Degas fino a
raffigurare corpi pressoché “smembrati” o a proporre pose incomprensibili come
quella della Donna che si asciuga della serie Dopo il bagno (XX).
La figura umana ridotta all’essenza
della forma
“Distintiva del talento così
vigoroso, sovente astratto [...] di Degas è la logica inesorabile del suo
disegno e della sua tavolozza, [...] non rende aggraziata alcuna linea [...] al
contrario lascia che si sprigioni la pura essenza di ciascuna forma. [...] Ha
applicato alla contemporaneità [...] il procedimento di semplificazione,
assolutamente sintetico, dei maestri della scuola senese; Degas è un primitivo
smarrito nella nostra civiltà in abito scuro”[29], nota Octave
Mirbeau nel 1885. Mentre Degas prosegue la ricerca di effetti realistici
che diano sempre più l’impressione
che la scena rappresentata sia stata catturata dal vivo – come mostra la serie
delle bagnanti presentate nel 1886 all’ultima mostra impressionista[30] –, il romanziere e critico
percepisce nel pittore l’ambizione di una sintesi tra rappresentazione della
vita moderna ed esito formale, sotto il modo di una semplificazione certamente
ereditata dagli inizi del Rinascimento italiano tanto ammirato dall’artista in
gioventù. Come gli piaceva rimarcare: “nessun’arte è mai stata meno spontanea della
[sua; egli] è il frutto della riflessione e dello studio sui grandi maestri”[31], d’altronde per fare arte
Degas consigliava di “creare un
falso e aggiungervi un pizzico di natura”[32], ovvero di sublimare il
proprio soggetto – fosse pure banale come quello di una prostituta raffigurata
nell’atto di lavarsi. Se la Donna
alla toilette che si asciuga il piede (cat. n. 72) sembra davvero sorpresa,
l’arrotolarsi del corpo su se
stesso offre all’artista un
effetto plastico e artificiale non meno rimarchevole. Degas non smetterà in
seguito di lavorare sull’iscrizione
del corpo contemporaneo in un circolo, specialmente nelle versioni a pastello o
scolpite de La tinozza (XX e
cat. n. 77). Trascendendo il corpo di una donna ordinaria impegnata in un’attività particolarmente
insignificante e in una posa impudica, Degas risponde in qualche modo, a quasi
quattro secoli di distanza, a Leonardo da Vinci e al suo Uomo
vitruviano[33]. Questa schematizzazione
della forma umana diventa ancora più evidente quando il pittore – una volta
raggiunta la fama, dalla fine del 1880 – abbandona i precetti naturalisti a
favore di ricerche più prettamente artistiche. Negli ultimi anni di attività
propone quindi corpi dalle forme elementari – come nelle Due bagnanti
sull’erba (XX) – già osservabili nella geometrizzazione delle natiche della
Donna seduta sul bordo di una vasca che si spugna il collo (XX). Benché
la sintesi della figura umana confini allora con l’astrazione – a volte in
composizioni particolarmente rudimentali quali Dopo il bagno (Donna che si
asciuga) del Philadelphia Museum of Art, il cui sfondo rosso, come quello
verde delle Due bagnanti sull’erba, è praticamente monocromo – essa
assume tuttavia una presenza davvero impressionante, degna delle innovazioni
pittoriche dei giovani artisti emergenti in quegli anni, come Matisse e Picasso[34]. La modernità raggiunta
dall’anziano Degas nella rappresentazione del corpo, attesta il genio di un
artista che è riuscito, anche in età assai avanzata, a spingere al limite le
tecniche utilizzate, in una costante emulazione dei maestri che ammirava e di
cui collezionava instancabilmente le tele[35]. Degas appare più che mai
sotto questa luce come il traghettatore dell’eredità del passato presso i moderni.
[1] “Se fossi nel governo
istituirei una brigata di gendarmeria per sorvegliare gli individui che
dipingono paesaggi dal vero...”, frase riportata da Ambroise Vollard, Degas (1834-1917), G. Crès,
coll. “Artistes d’hier et d’aujourd’hui”, Parigi 1924, pp. 58-59 e
40.
[2] Vedi Charles S. Moffett et
al., The New Painting: Impressionism 1874-1886, catalogo della mostra,
Fine Arts Museums of San Francisco, San Francisco 1986, pp. 120, 161. A
proposito dell’impressione
suscitata da Nudo accovacciato visto di spalle vedi Richard Thomson, Degas,
les nus, Nathan, Paris 1988, p. 74, che prende le mosse da una recensione
apparsa sul “Petit
Parisien” del 7 aprile 1877. L’articolo
di Jules Claretie, Le mouvement parisien. L’exposition des
impressionnistes, in “L’Indépendance
belge”, 15 aprile 1877 [citato da
Michael Pantazzi, Scènes de maisons closes, in Jean Sutherland-Boggs (a cura di), Degas,
cat. della mostra, Parigi, Galeries nationales du Grand Palais; Ottawa, Musée
des Beaux-Arts du Canada; New York, Metropolitan Museum of Art, 1988-1989, p.
296], lascia pensare che Degas abbia esposto alcuni di questi monotipi nella
terza mostra impressionista.
[3] Jeanne Fèvre, nel libro di
memorie dedicato allo zio (Mon oncle Degas, souvenirs inédits recuillis et
publiés par Pierre Borrel, Pierre Caillé, Ginevra 1949, p. 28), precisa che
egli copiava con una sorta di fervore religioso e tuttavia con una certa
libertà. I due disegni in questione sono conservati in una collezione privata.
[5] La presenza di quest’opera nel catalogo attesta l’intenzione di Degas, poi non
seguita, di farla figurare nella mostra impressionista del 1880.
[6] Edmond Duranty, La Nouvelle Peinture: à
propos du groupe d’artistes qui
expose dans les galeries Durand-Ruel, E. Dentu, Parigi 1876, p. 6.
[8] Theodore Reff accosta il
dipinto a una scena – di cui tuttavia non c’è l’illustrazione – di Thérèse Raquin di Zola
in Degas: The Artist’s Mind, Metropolitan Museum of Art, Harper & Row, New York 1976, p. 204.
Susan Sidlauskas (Resisting Narrative: The Problem of Edgar Degas’s Interior, in “The Art Bulletin”, 75, n. 4, dicembre 1993,
pp. 671-696) confuta ogni conclusione definitiva, mentre Félix
Krämer (Mon tableau de genre: Degas’s Le Viol and Gavarni’s Lorette in “The Burlington Magazine”, n. 1250, vol. 149, maggio
2007) suggerisce che la principale fonte di ispirazione di Degas vada cercata
in un’incisione di Paul Gavarni,
un artista che ammirava.
[11] La prostituzione è di
grande ispirazione per gli autori naturalisti giacché appaiono quasi
contemporaneamente tre romanzi sul tema: Marta di
Joris-Karl Huysmans ed Elisa dei
fratelli Goncourt nel 1876, preceduti appena pochi anni prima dalla Maison Tellier di Maupassant. In tali opere
riecheggiano i dibattiti dell’epoca tra gli abolizionisti che si battevano per
la chiusura delle case di tolleranza e i regolazionisti che le vedevano come un
male necessario, utile a contenere gli eccessi di tensione nella società, e ne
proponevano la regolamentazione.
[12] Duranty cita nel suo
celebre testo una lettera ricevuta da Degas: “Scultori e pittori hanno per
mogli, per amanti, donne dal naso all’insù […]. Ebbene questo tipo di donna che
per il loro cuore e la loro mente rappresenta l’ideale, quello che incontra
davvero il loro gusto e che realmente prediligono […] è assolutamente il
contrario del femminino che si ostinano a infilare nelle proprie tele e
nelle proprie sculture. Opere per le quali si rivolgono a una Grecia dalle
donne cupe, severe, robuste come cavalli”, op. cit.
[13] Henri Loyrette cita una
lettera a Marcel Guérin di Paul Poujaud in cui questi afferma che il naso è
stato ripreso da Degas all’inizio del
Novecento, poco prima della vendita dell’opera a Durand-Ruel nel 1905, ma aggiunge che lo
stato dell’opera
lascia supporre che i ritocchi siano stati solo marginali. Jean Sutherland-Boggs (a cura di), op. cit., p. 145.
[14] Il bagno, indissociabile
dalla scoperta del corpo nudo e dei suoi eventuali desideri devianti, è
considerato in effetti con sospetto almeno fino alla Prima guerra mondiale.
All’inizio della Terza Repubblica, in base ai principi igienisti, ne viene
incoraggiata la pratica tra le prostitute, nella speranza che i lavacri tra un
cliente e l’altro possano limitare la diffusione delle malattie veneree. Su
questi aspetti della storia culturale rimandiamo alle opere di Alain Corbin, Le
Miasme et la Jonquill: l’odorat et l’imaginaire social, 18e-19e siècles, Aubier-Montaigne, Parigi 1982, pp. 43, 209 e
210. E Les Filles de
joie: misère sexuelle et prostitution au XIXe siècle, Flammarion, coll. “Champs Histoire”, Parigi 2010 [1978], p.
126.
[15] Un’incisione a puntasecca, Uscita
dalla vasca da bagno, stilisticamente affine a Donna che esce dal bagno
(cat. n. 70), avrebbe quindi avuto per modella il fantasma del corpo nudo di un’ospite dell’amico Henri
Rouart incrociata da Degas in occasione di una cena. Vedi Richard Thomson, op.
cit., p. 82.
[16] Per limitarsi alle sole
reazioni dell’epoca vedi
la critica di Paul Mantz riprodotta in Jean Clair (a cura di), L’Âme au corps, cat. della mostra,
Galeries nationales du Grand Palais, Parigi 1993. Per un’analisi più recente vedi l’articolo di Richard Kendall
in Degas and the Little Dancer, cat. della mostra, Yale University Press
e Josslyn Art Museum, New Haven 1998.
[17] Il dipinto di Ingres
(Parigi, Louvre) viene presentato grazie agli sforzi di Degas all’Esposizione Universale del
1855, in occasione della quale viene organizzata una grande retrospettiva del
maestro. La tela è così chiamata perché apparteneva al padre di Paul Valpinçon,
compagno di Degas presso il liceo Louis le Grand di
Parigi.
[18] A Walter Sickert, in
francese nel testo, frase riportata in Degas, “The Burlington Magazine”, 31 novembre 1917, p. 185.
[20] Joris-Karl Huysmans, op. cit., pp.
22-27. Gustave Geffroy, Salon de 1886. VIII - Hors du Salon. Les
impressionnistes, in “La Justice”, 26 maggio 1886, p. 2.
[21] Edgar Degas, “Je veux regarder par le trou de la serrure”, testi scelti da Jean-Paul Morel, Mille et une
Nuits, Parigi 2012, p. 46.
[24] George Moore, Memories
of Degas, in “Burlington Magazine”, vol. XXXII, n. 19, febbraio 1918, p. 64.
[26] Degas menziona nei suoi
taccuini la rivista “La Nature” che pubblica nel 1878 un
articolo di Marey e un resoconto degli studi di Muybridge. Vedi Theodore Reff, The
Notebooks of Edgar Degas, carnet 31, n. 23, p. 81, citato da Michael
Pantazzi nella sua cronologia in Degas, op. cit., p.
217.
[27] Confidenze riportate dal
fonditore François Thiébault-Sisson dopo un incontro con Degas avvenuto nel
1897, in “Le Temps”, n. 25 553, 11 agosto
1931, p. 3.
[28] Vedi Richard Kendall e Jill
DeVonyar (a cura di), Degas and the Ballet, cat. della mostra, Royal
Academy, Londra 2011.
[30] Il catalogo della mostra
annuncia una “serie di
nudi femminili che si bagnano, si lavano, si asciugano i capelli e il corpo o
si fanno pettinare”. Sulle
ipotesi concernenti le opere che sarebbero davvero state esposte vedi Richard
Thomson, op. cit., pp. 130-132.
[33] Studio delle proporzioni
del corpo umano secondo Vitruvio (1492 ca., Venezia, Gallerie
dell’Accademia) simboleggiante la fede in un uomo posto al centro
dell’universo, le cui perfette proporzioni costituiscono l’emblema del suo
potenziale culturale e intellettuale.
[34] Vedi l’“epilogo” di George
Shackelford e Xavier Rey (a cura di), Degas et le nu, cat. della mostra,
Boston, Museum of Fine Arts e Parigi, Musée d’Orsay, 2011-2012, p. 248.
[35] “Compro! Compro! Non riesco
più a fermarmi”, dichiara
a Daniel, figlio dell’amico
Ludovic Halévy, che riporta la confidenza in Daniel Halévy, Degas parle
[1960], Ed. de Fallois, Parigi 1995, p. 86. Sulla sua formidabile collezione d’opere di maestri antichi e
contemporanei vedi Ann Dumas (a cura di), The Private Collection of Edgar
Degas, cat. della mostra, New York, Metropolitan Museum of Art, 1997.
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